venerdì 29 novembre 2013

“La bellezza delle cose fragili”, Taiye Selasi

Kweku Sai muore solo, nel giardino della splendida casa che ha costruito nella sua terra di origine, il Ghana, guardando una farfalla volargli accanto e ascoltando gli uccelli cantare. La sua morte è resa lenta dal flusso dei suoi ricordi, che corrono lontani, fino a Fola, la donna che ha amato e con cui ha avuto quattro figli, lontano, negli Stati Uniti. Kweku ripensa alla sua infanzia, in una piccola capanna di fango in Africa, e alla sua rivalsa, la borsa di studio che lo ha portato  a Boston, dove è diventato un chirurgo di successo. Ma la vita che gli sta scivolando via tra le dita è stata segnata da una colpa incancellabile: la vergogna per una sconfitta professionale lo ha spinto a lasciare Fola e i bambini, senza una parola, senza una spiegazione, e a tornare in Ghana. Mentre Kweku muore solo nell’erba coperta di rugiada, Fola, che a sua volta è ritornata in Africa, si sveglia d’improvviso, assalita dalla sensazione che qualcosa di terribile sia accaduto. Nonostante siano passati anni, il suo invisibile legame con l’ex marito è ancora forte e saldo, nonostante le ferite che le ha inferto. La notizia della morte improvvisa di Kweku attraversa l’oceano e arriva ai suoi figli, ormai cresciuti e carichi di problemi personali. Olu, il maggiore, è terrorizzato dall’amore. Ha una moglie, Ling, ma non riesce a considerarla la propria famiglia. Troppo spaventato dall’idea di poterne perdere l’amore o di commettere gli errori di suo padre, vive una vita asettica, algida, priva di sentimento. Kehinde e Taiwo sono due gemelli uniti da un drammatico e sconcertante segreto. Kehinde è un artista affermato, ha tentato il suicidio e ha tagliato tutti i rapporti con il resto della sua famiglia, ma soprattutto con la sua gemella. Taiwo è stata coinvolta in uno scandalo, diventando l’amante di un suo professore universitario. Infine c’è Sadie, la piccola della famiglia, che odia il suo corpo, si sente oppressa dal legame morboso che Fola ha instaurato con lei dopo l’abbandono di Kweku, e si sente inferiore in tutto rispetto ai suoi fratelli maggiori, considerati belli, talentuosi, intelligenti e brillanti. La famiglia Sai non ha un baricentro, non ha unità. È un insieme di persone che portano rancore le une verso le altre, e che vivono sparpagliate per il mondo senza sentirsi più legate da alcun vincolo affettivo. Appena venuto a conoscenza della morte del padre, Olu organizza il viaggio che lo riporterà, coi suoi fratelli e con Ling, nella terra da cui i loro genitori sono venuti. Questo viaggio nel cuore delle proprie radici, per piangere un padre che è un mero ricordo per molti di loro, diventa occasione per affrontare i propri demoni e i fantasmi del passato.
Taiye Selasi è una giovane scrittrice di origine Africana che ben rappresenta la nuova generazione dei così detti “Afropolitan”: è per metà nigeriana e per metà ghaniana, è nata a Londra, ha studiato a Oxford e Yale, vive e lavora tra Roma e gli Stati Uniti. Proprio il suo saggio del 2005 “What is an Afropolitan?”, ha dato un volto a questi nuovi africani, colti, sofisticati, provenienti dalle migliori università e cittadini del mondo, a dispetto di tutti i pregiudizi e i luoghi comuni. “Afropolitan” è anche il termine migliore per descrivere questo romanzo (in inglese intitolato “Ghana must go”, la frase che i nigeriani rivolgevano ai rifugiati politici ghaniani negli anni ‘80), che affonda le sue radici in Africa, ma che è germogliato in Occidente, come i suoi personaggi principali e come la sua autrice. Questo esordio straordinario è divenuto immediatamente un caso editoriale ed ha ricevuto la benedizione di Salman Rushdie. Taiye Selasi scrive con una grazia e una delicatezza uniche, con una dovizia di particolari sorprendente. Pagine e pagine sono dedicate alla descrizione minuziosa di corpi, di sentimenti, di paesaggi, che ci vengono non raccontati ma dipinti. I personaggi di questo libro, e la loro sofferta evoluzione, sono profondi e dolorosi. Si piange molto leggendo “La bellezza delle cose fragili” perché questa scrittrice sa arrivare dritta al cuore dei suoi personaggi, e quindi dei suoi lettori. La famiglia Sai vive nella contraddizione, infatti è devastata dalla perdita dell’amore ma allo stesso tempo tenta di fuggire dall’amore stesso, che li soffoca e li opprime silenziosamente, spingendoli ad allontanarsi gli uni dagli altri.

Un bellissimo e commovente romanzo, delicato e duro allo stesso tempo, una voce nuova e promettente, da tenere d’occhio. 

lunedì 11 novembre 2013

"Chi ti credi di essere?", Alice Munro

«Leggete tutto di Alice Munro, ma per cominciare leggete “Chi ti credi di essere?”. Sí, cominciate da quello» consiglia il buon Jonathan Franzen. E io i buoni consigli li ascolto eccome. Da parecchio tempo dovevo supplire alla mia grave mancanza, non aver mai letto nulla di Alice Munro. Dopo esser stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura 2013, da mancanza la mia è diventata una gravissima colpa, a cui dovevo assolutamente rimediare. Dopo aver letto questa frase di Franzen la scelta è stata obbligata.
“Chi ti credi di essere?” è un romanzo costituito da dieci racconti che hanno per protagoniste due donne apparentemente antitetiche: Flo e Rose. Flo è volgare, a tratti crudele, rozza, eppure ha un cuore d’oro e una generosità fuori dal normale. Rose è la sua figliastra e tenta disperatamente di essere il suo esatto contrario: ogni occasione per contraddire Flo, per farla sentire inadeguata, diventa ragione di vita. I racconti compongono una sorta di romanzo di formazione, lungo quarant’anni, seguendo le fila della vita di Rose. Essendo racconti, le storie narrate sono meri flash, brevi ma significativi estratti della sua esistenza. Prima ragazzina nel paesino canadese di West Hanratty, rozzo, crudele e volgare proprio come Flo, dove Rose cresce vittima della povertà e del rapporto di amore e odio con la matrigna, che le vede entrambe impegnate in una guerra senza esclusione di colpi per guadagnarsi i favori del padre/marito morente. Rose vive un’adolescenza in fuga dal suo squallido mondo: attraverso lo studio, i romanzi, il sogno di diventare attrice, tenta di prendere le distanze dalle sue origini. Con i suoi sforzi riesce ad ottenere una borsa di studio per l’università e così a fuggire lontano dalla provincia ignorante per approdare in città, in un mondo dove i suoi racconti su West Hanratty vengono scambiati per macabre e surreali favole. Ma anche lontano chilometri dal mondo in cui è cresciuta, la domanda che spesso Flo le ha posto con disprezzo “Chi ti credi di essere?”, la perseguita come un anatema. Cosa è davvero Rose? Cosa vuole diventare? In una ricerca continua di se stessa, la ragazzina diventa donna ma continua a fuggire per un Canada perennemente innevato, con lo scopo di scappare dai demoni che ha dentro di sé. Ad ogni problema, ad ogni complicazione il fragile io di Rose si incrina. Sempre in ansia a causa dei giudizi altrui, si dà alla fuga non appena qualcosa rischia di ferirla. Finché non sarà costretta a tornare a West Hanratty, per capire che in fondo quello è il mondo di cui fa davvero parte.
Un grandissimo romanzo, una narrazione straordinaria e un Canada come non lo immaginavo. Ora posso assolutamente capire l'Accademia Svedese e la sua scelta. Alice Munro sa descrivere una serie di personaggi davvero unici: uomini e donne colti nei loro momenti più bui, sono creature inermi e impotenti di fronte alla loro fragilità e ai loro difetti. Una scrittrice davvero strepitosa, che nel brevissimo spazio di un racconto  riesce a dipingere con delicatezza e precisione un'intera esistenza.