martedì 21 maggio 2013

"Quattro etti di amore, grazie", Chiara Gamberale


Parto dall’ottava opera di Chiara Gamberale per cominciare aconoscere questa giovane scrittrice italiana. Si tratta di una storia di donne che cercano una via di fuga dalle proprie esistenze frustranti. Tea è un’attrice magrissima, bellissima, protagonista dello sceneggiato televisivo più in voga del momento, “Testa e Cuore”. Erica è una cassiera di banca con due bambini e un marito, che conduce una normalissima vita tra infornate di biscotti e serate di fronte al televisore. O almeno questo è quello che vedono l’una dell’altra quando si incontrano, quasi quotidianamente al supermercato sotto casa. Erica compra latte, lievito e farina per le torte, tagli di manzo per fare arrosti, cereali per i suoi bambini, e osserva con invidia gli yogurt magri e gli hamburger di soia dell’attrice. Pensa alla facilità della sua vita da star e vorrebbe scambiare con lei il carrello. Ma non immagina che lo stesso vorrebbe fare anche Tea che ogni giorno guarda alla “Signora Cunningham”, come le piace chiamare la sconosciuta Erica, come un modello lontano ma che le piacerebbe emulare, pensando che la sua vita sia serena e felice, con i suoi bambini e il suo comune e anonimo marito. Lei è sposata con un regista e autore teatrale che soffre di depressione, non condivide con lei il letto e che la denigra per il suo lavoro televisivo e commerciale. Anche per questo ha un giovane e atletico amante che non ha nulla in comune con suo marito. Erica invece ha subito un duro shock a causa di una rapina a mano armata in banca e nella quale ha capito che nella sua vita è scesa a troppi compromessi e ha fatto scelte dettate dalla testa e non dal cuore. Invece di cercare di riscattarsi, cade in una depressione muta e sorda, dalla quale fugge chattando su Facebook con un vecchio compagno di liceo (del quale non si capisce se sia infatuata oppure no). Anche se i loro carrelli della spesa sono agli antipodi, Tea ed Erica sono due donne accomunate dalla ricerca di loro stesse, sono divise tra due mondi tra i quali non sanno scegliere, sono due donne che stanno tentando di capire l’amore e con esso il senso delle loro vite.  Non basta la fama, il denaro, la celebrità di Tea ma neppure la “famiglia del Mulino Bianco” e la tranquilla stabilità di Erica. La differenza è che Tea sa perfettamente ciò che desidera (l’amore del marito) ma non riesce a ottenerlo e per questo tenta vie alternative alla felicità, mentre Erica è in uno stato confusionale cronico.
“Quattro etti d’amore, grazie” è un romanzo leggero e scorrevole, che si lascia leggere senza pensieri, nonostante tratti temi abbastanza delicati. La Gamberale scrive in modo piacevole e leggero, sa conquistare il lettore con abilità di comunicatrice (più che di narratrice, forse) . Eppure, almeno nel mio caso, non arriva al cuore, non tocca nervi scoperti. Una lettura indubbiamente piacevole ma che non mi ha lasciato molto.

mercoledì 8 maggio 2013

"La Zia Julia e lo scribacchino", Mario Vargas Llosa


Marito, altresì detto Varguitas, è un diciottenne studente di giurisprudenza, che lavora come direttore della sezione informazioni della radio Panamericana, a Lima, coltivando l’ambizione di diventare scrittore. L’anno tra il 1953 e il 1954 cambierà per sempre la sua vita a causa di due arrivi dalla Bolivia: da un lato la bella Zia Julia, zia acquisita, trentaduenne procace e divorziata, in cerca di un nuovo marito; dall’altra lo stravagante Pedro Camacho, autore di romanzi radiofonici che viene assunto dalla radio Central, di proprietà della famiglia Genaro come Panamericana. La storia si dipana in venti capitoli, in cui quelli dispari (più l’ultimo) raccontano le vicende di Marito, alle prese con lo sbocciare di un amore romantico e contrastano, a causa della differenza di età e dello status di divorziata, per la Zia Julia, e i tentativi di scrivere i primi racconti; i capitoli pari invece riportano le storie narrate nei romanzi radiofonici da Pedro Camacho. Quest’ultimo riesce a partorire una serie quasi infinita di racconti in stile pomposo, linguaggio arzigogolato e soprattutto dalle trame che lentamente cominciano a distaccarsi dalla realtà per divenire sempre più assurde e complicate. Il povero scriba boliviano, infatti, diviene vittima della propria stessa vulcanica fantasia e creatività, perde il filo delle proprie storie e dei propri infiniti personaggi.
Il quesito principale che i lettori si pongono riguardo a “Zia Julia e lo scribacchino” è: si tratta di un romanzo autobiografico? La risposta non è così scontata. Da un lato il protagonista e voce narrante della storia è Marito (diminutivo di Mario) o Varguitas (distorsione di Vargas), che studiò all’Università San Marcos di Lima giurisprudenza, lavorò alla radio redigendo bollettini ed effettivamente sposò (ancora minorenne) una zia acquisita di nome Julia Urquidi Illanes (cui il romanzo è dedicato). Anche nel capitolo finale Marito torna in Perù, ormai scrittore affermato, ed è impossibile non riconoscervi il premio Nobel per la Letteratura 2010. D’altro canto è però presente una fortissima componente fantasiosa (i romanzi di Camacho sono riportati in una forma che di certo non poteva essere quella reale poiché pochissimi sono i dialoghi riportati, mentre è ovvio che in un romanzo radiofonico tutto si basa sul dibattito tra diversi personaggi). La risposta ci viene fornita dallo stesso Vargas Llosa: “[…] come in tutto quanto ho scritto, sono partito da alcune esperienze ancora vive nella mia memoria e stimolanti per la mia immaginazione e ho fantasticato qualcosa che riflette in modo molto infedele quei materiali di lavoro. Non si scrivono romanzi per raccontare la vita, ma per trasformarla, aggiungendovi qualcosa” (“La verità delle menzogne”, Mario Vargas Llosa)
La figura di Camacho è particolarmente interessante: egli è l’incarnazione delle paure di Marito e delle sue ambizioni. È quasi analfabeta, non ha mai letto un libro (tranne una sorta di bibbia delle citazioni famose), usa uno stile discutibile, disprezza l’opinione del suo pubblico e non rilegge mai quanto scritto. Marito, per contro, scrive tentando di trarre ispirazione dai grandi maestri della narrativa mondiale, che conosce e apprezza, legge e rilegge i propri racconti e non ne è mai soddisfatto, cerca l’approvazione delle persone che lo circondano. Eppure Camacho è una sorta di star, che riesce a tenere una nazione intera attaccata alla radio per ascoltare i suoi racconti. Marito ne è affascinato ma allo stesso tempo infastidito. In questo contrasto si puô leggere una riflessione di Vargas Llosa sullo stato della letteratura latino-americana che all’epoca (siamo negli anni Sessanta quanto la prima versione de “La Zia Julia” venne pubblicata) era ancora alla ricerca di una propria identità e di voci che sapessero superare i confini nazionali ed essere ascoltate anche nella vecchia Europa.
Era un po’ di tempo che non leggevo autori sudamericani (che per anni sono stati una vera e propria ossessione) e questo romanzo mi ha trascinata nuovamente in quel mondo colorato, stravagante e magico che mi ha sempre affascinata. Un ottima lettura, particolare e ironica.