martedì 30 aprile 2013

“L’educazione delle fanciulle – Dialogo tra due signorine per bene”, Luciana Littizzetto e Franca Valeri


Ho letto questo librettino in un paio di ore. Luciana Littizzetto e Franca Valeri dialogano, con abilità di commedianti, della cosiddetta “educazione” delle signorine per bene, confrontando modelli, pensieri e abitudini di due generazioni differenti, quella degli anni Trenta e quella degli anni Sessanta. Le due voci narranti si alternano discutendo di abbigliamento, genitori, aspettative matrimoniali e materne, amore e sesso, cercando di mettere a fuoco le differenze tra due generazioni (che diventano tre se la lettrice, come nel mio caso, appartiene ad un’ulteriore altra “epoca”). Cosa è cambiato da allora? Di certo il linguaggio, se paragoniamo la delicata e composta Valeri con il torrente in piena Littizzetto, ma anche l’idea che la donna ha di se stessa e delle aspettative che la sua famiglia (e lei medesima) ripongono nel suo futuro. In trent’anni il matrimonio è passato dall’essere considerate l’unico possibile scopo di una donna (con tanto di drammi familiari per coloro che si ritrovavano con una “zitella”, alias una over trenta non accasata, tra la propria progenie), a sogno segreto di ogni mamma, sogno non sempre corrisposto dalle ormai più emancipate figliole. Un’interessante chiacchierata (in chiave molto leggera e superficiale, va detto) sulla donna italiana nel corso del ‘900 e del suo rapporto con il sesso maschile, croce e delizia da sempre. Come giustamente scrive Einaudi nella presentazione del libro sul suo sito web “Ci sono libri – quasi tutti – che si leggono in silenzio, prestando alle parole dell’autore, in mente, il suono della propria voce. Ce ne sono altri con cui invece non si può fare a meno di stare ad ascoltare il loro, di suono. Non semplicemente quello della scrittura, il ritmo della frase, ma proprio un suono vero, corporeo, con un timbro un tono e una cadenza. Sono libri che parlano, che hanno una voce. L’educazione delle fanciulle appartiene a questa seconda rarissima specie, e di voci ne possiede addirittura due, inconfondibili: quelle di Luciana Littizzetto e di Franca Valeri.”. Le loro personalità sono così forti e prorompenti che è impossibile non sentirle e vederle mentre si infervorano sui loro argomenti. La bellezza del libretto è che riesce, con sapienza, a guardare al mondo con una estrema ironia, ma al contempo a non perdere mai la strada della serietà. Certo non si addentra nello specifico del ruolo della donna nella società (non aspettatevi un trattato di sociologia!), ma comunque regala buoni spunti di riflessione soprattutto sui rapporti uomo-donna. Per questo motivo lo consiglio soprattutto ai maschietti: potrete capire e carpire tra le sue righe alcune delle cose che le vostre compagne cercano disperatamente di spiegarvi durante interminabili discussioni. Chissà che leggerle messe nero su bianco da queste due simpatiche comiche non vi aiuti finalmente a capirle!

lunedì 29 aprile 2013

"Le fatiche di Hercule", Agatha Christie


Quando la vita quotidiana si fa stressante e faticosa, e ho bisogno di una lettura rilassante e che mi permetta di staccare davvero la spina, ecco che mi lancio nella lettura di uno degli innumerevoli gialli di Agatha Christie. È quasi un rito ormai: la sua scrittura lineare, limpida, in cui tutto viene snocciolato con cura, la certezza che alla fine l’eccentrico Hercule Poirot o la volitiva Miss Marple giungeranno ad una soluzione, contro ogni aspettativa, e il bene in qualche modo trionferà, sono un vero e proprio mantra per me.
Questa volta mi sono buttata su “Le fatiche di Hercule”. In questo romanzo il nostro illustre ispettore belga dai baffi inconfondibili, si cimenta in una vera e propria impresa epica: sente ormai il bisogno di ritirarsi dall’attività di investigatore privato per vivere in campagna e dedicarsi alla coltivazione delle zucche (ortaggi meravigliosi nell’aspetto ma dal sapore troppo acquoso), ma prima di allora si pone come obiettivo di risolvere dodici casi che in qualche modo gli risultino collegati con le celeberrime dodici fatiche del suo omonimo mitologico Ercole. Si tratta di dodici racconti uniti da questo particolare filo conduttore che spaziano in tutto il corollario dei crimini in cui un investigatore privato del calibro di Poirot possa essere coinvolto: si va dal rapimento con estorsione di cagnolini di lusso, omicidi misteriosi (come può in un romanzo della Christie non comparire il suo vecchio amico arsenico?), passando per la ricerca di una donna misteriosa sparita nel nulla o il tentativo di debellare una setta specializzata in rapine ad anziane vedove facoltose. Il tutto ovviamente in pieno stile Christie. Preparatevi una tazza di the (per entrare nel giusto spirito inglese) e godetevi uno dei suoi gialli. E non temete, Poirot, pur non dichiarandolo apertamente alla fine del romanzo, sarà protagonista di numerose indagini dopo le sue dodici fatiche. Le zucche probabilmente potevano aspettare.

giovedì 25 aprile 2013

"Mr Gwyn", Alessandro Baricco

A 43 anni Jasper Gwyn, scrittore londinese acclamato dalla critica e osannato dal pubblico, camminando per Reagent Park ha un'illuminazione. Torna a casa e scrive per il "Guardian" una lista di cinquantadue cose che da quel giorno non farà assolutamente mai più. Una di queste è scrivere romanzi. Il problema è che dopo 12 anni di carriera non è facile smettere di scrivere: quel rito quotidiano di Mr Gwyn, il mettere in fila parole per formare frasi belle e ordinate, una volta inesorabilmente abbandonato, lascia un vuoto e un'angoscia profondi. La necessità di scrivere deve trovare una nuova forma, per non contravvenire la lista, e Mr Gwyn decide, con l'aiuto di un'anziana signora incontrata per caso nella sala d'aspetto del medico in un giorno di pioggia, di diventare un copista, cioè di creare con le parole ritratti di persone. Il rito è particolare e complicato, e solo con l'aiuto di Rebecca, factotum e prima modella di Jasper Gwyn, di un compositore di rumori quotidiani e di un vecchio artigiano di Camden Town (che produce eleganti lampadine dal nome di regine, che producono una luce "infantile" e hanno una vita di trentadue giorni appena), i ritratti possono essere realizzati. Il segreto è riuscire a cogliere l'essenza e lo spirito dei vari avventori disposti a pagare profumatamente per essere "ritratti" dalla penna dello scrittore. 
Baricco ci regala una bella storia sulla scrittura e sulla ricerca di se stessi. Si tratta di un romanzo meno complesso (e forse meno ambizioso) di "Oceanomare", ma che si lascia leggere con facilità, conquistando il lettore. Riuscirà Mr Gwyn nell'impresa di ritrarre a parole le persone? E soprattutto, che racconto riuscirebbe a scrivere per noi?

"Guardami", Jennifer Egan


Se avete letto “Il tempo è un bastardo” (se non lo avete fatto, procuratevelo immediatamente o almeno leggete la recensione di Letture Precarie qui) e “Scatola nera” (recensione qui), e li avete adorati, “Guardami” vi piacerà sicuramente. Questo romanzo infatti contiene moltissimi degli elementi che caratterizzano lo stile inconfondibile della Egan, in particolare compaiono molti aspetti ripresi nel fortunatissimo “Il tempo è un bastardo” (vincitore nel 2011 del premio Pulitzer e del National Book Critics Circle award, acclamato dalla critica e dai suoi lettori, tanto per intenderci). Questo romanzo è però stato “rispolverato” dalle case editrici proprio in seguito al successo del suo successore. Ricordatelo bene mentre leggerete “Guardami”: è stato scritto a partire dalla metà degli anni Novanta, la Egan ci ha lavorato per sei anni e la sua stesura è stata completata prima dell’11 settembre 2001. I protagonisti sono anche in questo romanzo numerosi e complessi. La protagonista indiscussa può essere considerata Charlotte, una modella trentacinquenne, new yorkese di adozione, che nelle pagine iniziali del libro viene devastata da un terribile incidente d’auto, in seguito al quale il suo volto deve essere completamente ricostruito e tenuto insieme da ottanta viti di titanio. Per una donna che ha costruito la propria esistenza intorno all'apparire si tratta di un vero e proprio dramma, soprattutto quando si rende conto che il suo habitat naturale, il jet-set di New York, la oltrepassa con lo sguardo, senza riconoscerla. Ma non è la sola Charlotte del romanzo. Nel suo paese natale, Rockford, Illinois, una sedicenne (Charlotte anche lei) è vittima del bullismo dei coetanei e schiacciata dalla leucemia che ha colpito suo fratello Ricky, e si rifugia in un amore idealizzato per un misterioso professore di matematica dal passato misterioso. Ma non sono le uniche voci del romanzo. C’è Moose, che da ragazzo d’oro del suo liceo è diventato professore di storia, depresso e perseguitato da una visione che ha avuto sul bordo di una strada trafficata. C’è un detective che lotta per riavere le proprie figlie e per trovare un misterioso uomo di nome Z. E poi c’è Irene, un terrorista libanese, le giovani modelle di New York, un barbone ossessionato dall’igiene personale. Come sempre la Egan ci presenta una serie di ritratti di persone a loro modo speciali e uniche, i cui destini inevitabilmente si intrecciano in un mondo immenso ma che vive di interconnessioni, coincidenze e destini.
Seppure non raggiunga le vette de “Il tempo è un bastardo”, la Egan ci regala un’altra prova di grande scrittura e capacità di raccontare storie che rimangono addosso al lettore. Se in questo caso è meno marcata la sperimentazione linguistica, è notevole la capacità, quasi chiaroveggente, di prevedere l’esplosione di certi media: Charlotte-adulta viene coinvolta, per risollevare la propria sorte, in un progetto mediatico che è un rudimento del futuro (ricordate quando il libro è stato scritto!) Facebook, mescolato con il “Grande Fratello”, una vera e propria spettacolarizzazione del proprio privato. Tutte cose poco usuali alla fine degli anni Novanta. Anche la vicenda del terrorista libanese e dell’odio cieco verso un’America che non sa solo offrire sogni, ma anche terribili incubi, e che inesorabilmente ingloba le coscienze e le omologa fino a farle sentire parte di qualcosa di astratto e potente, risulta una lucida e profonda critica al contesto statunitense pre-11 settembre.
Se non avete ancora provato questa meravigliosa scrittrice, dovete farlo assolutamente. Se già la conoscete e la amate, avrete solo un’ulteriore conferma del suo talento di narratrice.

mercoledì 3 aprile 2013

"Il seggio vacante", J.K. Rowling


C’è una parola che descrive alla perfezione cosa ho provato leggendo il primo romanzo “da grande” della Rowling ed è “stupore”. Sono stata una grande fan di Harry Potter (anche se non di primissima mano) e ho acquistato l’ebook de “Il seggio vacante” più che altro per curiosità. Ho aspettato un po’ a cominciare la lettura perché temevo sarebbe stata una delusione cocente e atroce leggere la Rowling senza Harry, Hermione e Ron. Invece questo romanzo è qualcosa di talmente diverso dalle sue opere precedenti che ben presto si smette di desiderare ardentemente che qualcuno voli su una scopa o tenga in gabbia una civetta. Siamo a Pagford, ridente e tradizionale villaggio inglese, tanto da piccolo da non essere considerato indipendente dalla vicina città di Yarvil. Al suo interno la vita trascorre tranquilla e monotona, scandita dalla messa e dall’apertura delle poche piccole botteghe. Il paese è un susseguirsi di villini perfetti, circondati da giardini fioriti e vialetti ordinati. Ma dietro le belle tende di pizzo di queste abitazioni e dietro le facce sorridenti dei suoi abitanti si nascondono molti segreti e contraddizioni. A portare lentamente a galla un disagio che tutti hanno sempre cercato di nascondere è l’improvvisa morte di Barry Fairbrother, cittadino modello e consigliere comunale. La sua morte crea un vuoto non solo all’interno dei delicati equilibri di Pagford, ma anche nel Consiglio stesso. Qualcuno dovrà occupare il seggio vacante di Fairbrother e la scelta è particolarmente delicata. Il paese è infatti diviso su una questione molto importante: l’appartenenza geografica di un quartiere popolare e malfamato, sorto all’interno dei confini di Pagford ma più vicino a Yarvil. Droga, violenza e abusi sono all’ordine del giorno ai Fields e per questo il primo cittadino di Pagford, Howard Mollison, con la sua arcigna moglie Shirley, vorrebbero allontanarlo dalla loro idilliaca città. Fairbrother era invece un convinto sostenitore della necessità di mantenere i Fields nei confini cittadini, per aiutare la sua popolazione a uscire dai confini del quartiere-ghetto. La lotta per la successione si fa via via più dura e non ha quartiere: i giovani si opporranno alla vecchia guardia, le mogli ai mariti, i figli ai padri, mentre lentamente in ogni perfetta famiglia cominciano ad apparire crepe e ad affiorare segreti inconfessabili.
La Rowling ha creato un mondo, Pagford, che solo chi vive in un piccolo paese può comprendere. Fortissimo è anche il carattere estremamente “British” dell’opera e, sinceramente, averlo letto ora che vivo in Inghilterra mi ha aiutato molto a capire il contesto in cui si muovono i protagonisti. Si tratta di un’opera corale, ricca di personaggi estremamente complessi e la Rowling li sviscera lentamente, entrando sempre più in profondità nella loro psiche. La sua abilità viene a galla soprattutto con i personaggi adolescenti, che ricoprono un ruolo fondamentale nell’intero romanzo, e che lei è abilissima (ancora una volta) a descrivere e a farci conoscere. Uno dei temi principali de “Il seggio vacante” è l’incomunicabilità tra le persone, ed in particolare tra genitori e figli. A Pagford esiste un muro invalicabile che non permette alle diverse generazioni di parlarsi e di comprendersi.
Non voglio svelarvi troppo perché, appunto, io ne sono rimasta stupita. Mi aspettavo un romanzo tagliente e dai toni quasi comici, incentrato sulle contraddizioni di un piccolo centro abitato con problemi di paese. Invece i temi trattati sono forti, crudi e attuali; il dramma cresce lentamente fino ad un finale sorprendente e tragico. La Rowling si dimostra una narratrice matura e attenta, che sa scrivere anche per un pubblico adulto e affrontando una realtà che purtroppo, soprattutto nel Regno Unito, è tutt’altro che idilliaca. Un bel romanzo, indubbiamente.