mercoledì 25 luglio 2012

Il mio blog è CO2 neutral (spero!)


Su queste cose sono sempre un po' scettica ma ho deciso per una volta di fidarmi e di vedere come va! 
Questo è il comunicato di DoveConviene.it ma potete anche dare un occhiata al loro sito per cercare di capirne un po' di più. questo sito si propone di abbattere le emissioni di anidride carbonica dei blog aderenti piantando alberi in grado di assorbirla.



"Questa iniziativa ambientalista proposta da DoveConviene.it si propone di azzerare le emissioni di anidride carbonica dei blog piantando un albero in una zona boschiva a rischio di desertificazione e che grazie alla pubblicazione dei volantini pubblicitari online si propone di ridurre lo spreco di carta. Aderendo all' iniziativa viene piantato un albero la cui produzione di ossigeno andrà a compensare le emissioni di anidride carbonica emesse dal proprio blog andando così a neutralizzare anidride carbonica prodotta dal nostro sito.
Questo dato non è particolarmente noto, ma un sito internet produce in media 3,6Kg di anidride carbonica ogni anno, abbastanza preoccupante se pensiamo alla miriade di siti web che esistono, ma un albero può assorbire fino a 5Kg di anidride carbonica ogni anno e proprio per questo che aderendo all' iniziativa contribuiremo a fare del bene.  Doveconviene in prima persona si è fatta carico di questo problema e ha iniziato a riproporre i volantini pubblicitari online come quelli di zara, auchan,esselunga, rendendoli fruibili sia su Pc che su iPhone, iPad e Android, mirando a una maggiore ecosostenibilità, e ognuno può fare il suo per portare avanti questo grande obiettivo.
I volantini inoltre sono facilmente consultabili, eccone degli esempi:
Volantino expert -> http://www.doveconviene.it/volantino/expert
Volantino mondo convenienza -> http://www.doveconviene.it/volantino/mondo-convenienza
Volantino leroy merlin -> http://www.doveconviene.it/volantino/leroy-merlin
Doveconviene ha oramai piantato oltre 1500 alberi, ma l' iniziativa non si ferma qui e si propone di raggiungere almeno i 2.000 alberi per settembre, per questo abbiamo proprio bisogno di voi, blogger italiani che vi schierate a favore della natura e del' ecosostenibilità. Diffondiamo l' iniziativa e rendiamo il nostro Mondo migliore e più vivibile!
Per chi vuole approfondire nel dettaglio sull'iniziativa vi invito a visitare http://www.iplantatree.org/project/7"

Se andrà a buon fine sarà un'ottima cosa! Non mi resta che incrociare le dita! E poi si sa... Chi non risica non rosica... ;)

lunedì 23 luglio 2012

“Trilogia della città di K.”, Agota Kristof


Scrivere di quest’opera di Agota Kristof sarà molto complicato perché si tratta di uno dei libri più complessi, a tratti addirittura assurdi, che io abbia mai letto. La storia si dipana lungo tre libri: “Il grande quaderno” (1986), “La prova” (1988) e “La terza menzogna” (1991), poi raccolti nella “Trilogia della città di K.”. Il grande quaderno” è una raccolta di temi scritti da due gemelli che vivono durante una guerra, in un Paese dell’est Europa invaso dapprima da un esercito di liberatori che ben presto diventano conquistatori. La Kristof non parla mai esplicitamente né di Ungheria né di Unione Sovietica, ma non è difficile individuare le coordinate di questa storia se si conosce la vita di questa scrittrice ungherese, esule dal 1956, fuggita alla repressione del regime sovietico trovando rifugio in Svizzera. I componimenti dei bambini raccontano degli accadimenti neri e terribili della guerra e di un’infanzia troppo presto violata. Ne “La prova” è Lucas, uno dei gemelli ormai cresciuto, a prendere in mano le redini del racconto, che via via assume toni sempre più scuri, duri, inquietanti. Fino ad arrivare a “La terza menzogna” dove si capisce che in questa storia tutto può essere il contrario di tutto e che comprendere dove finisca la realtà dei fatti e dove cominci la fantasia malata dei vari narratori è assolutamente impossibile. La verità non è solo legata ai punti di vista ma alle menti stesse dei protagonisti, luogo in cui gli avvenimenti potrebbero essere accaduti veramente. O forse no. La logica si perde nell’intreccio delle storie, degli aneddoti che si complicano, si ingarbugliano, che si confondono delineando però uno scenario sempre più chiaro. È una storia dura sull’impossibilità per l’uomo di fare un’infinità di cose: di amare, sia gli altri che se stessi, l’impossibilità di dimenticare e andare avanti, ma anche di perdonare e ricominciare da capo. Ma soprattutto si ha l’impossibilità di ritornare finalmente a casa e di accettare la realtà, smettendo di ingannare se stessi e gli altri nel vano tentativo di far aderire i fatti reali alla propria visione della vita. I sentimenti dolorosi, profondi, crudeli che vengono descritti dalla Kristof, con la sua scrittura perfettamente scarna e asciutta, ci fanno comprendere che invisibili connessioni collegano gli uomini gli uni agli altri, anche a chilometri di distanza, anche ad anni di distanza, senza mai aver comunicato. Le parole della Kristof sono coltellate sublimi, sono una pece nera che cola sull’anima, macigni che cadono sul cuore e di lì non vogliono più andarsene. E, fino all’ultima frase, non si riesce a smettere di farsi del male, non si può rinunciare al dolore che questa storia può suscitare.
“Trilogia della città di K.” è un vero capolavoro anche se temo che la durezza cruda di questa storia potrebbe scoraggiare molti lettori. Ma provateci. Se riuscirete ad arrivare in fondo capirete quanto è in grado di regalare questo libro.

lunedì 16 luglio 2012

"L'arpa d'erba", Truman Capote


Il piccolo Collin Fenwick rimane orfano e viene affidato alle cure di due cugine sessantenni. Le due sorelle Talbo non potrebbero essere più diverse: Verena, avida, fredda, mascolina, gestisce il patrimonio e gli affari familiari, Dolly, dolce, fatua, eterea, rimane chiusa nella sua camera rosa e nella cucina, prendendosi cura di Collin insieme alla governante e amica Catherine. Dolly si occupa anche della produzione di un rimedio naturale contro l’idropisia. Quando Verena viene a conoscenza del giro d’affari e della piccola fortuna della sorella, e pretende di entrare in possesso della ricetta segreta, Dolly, Collin e Catherine fuggono di casa trovando rifugio in una casetta costruita su un albero di sicomoro.
Questo racconto di Capote ricorda, per la sua ambientazione, “Il buio oltre la siepe” dell’amica Harper Lee. Tuttavia la storia e i suoi personaggi sono quelli di una favola, dolce e malinconica. A personaggi terreni, “normali”, si mescolano personaggi incredibili, stravaganti, e di ognuno di loro, attraverso il proprio personale racconto, attraverso i ricordi e le dicerie altrui, veniamo a scoprire la storia. Una sfilza di piccoli e semplici racconti di vita, più o meno veritieri, che conducono il lettore nel profondo Sud degli Stati Uniti.
La storia e i personaggi sono ispirati all’infanzia di Truman Capote e in particolare il personaggio di Dolly è ricalcato sulla cugina dello scrittore, Sook Faulk. A detto dello stesso Capote questa fu la sua opera meglio riuscita e che gli diede maggiori soddisfazioni. Di certo con il suo torno infantile, le atmosfere a cavallo tra realtà e fantasia, e la storia dolce e fantastica che ci ha raccontato, Capote riesce ad infondere nel lettore un senso di calore, di tenerezza, di rinnovata fiducia nell’umanità.

mercoledì 11 luglio 2012

"Sunset Park", Paul Auster


“Sunset Park” è un romanzo di intrecci. Innumerevoli storie e personaggi si incontrano o entrano in contatto mediante una serie di temi trasversali che lo attraversano e che tutto collegano. Una di queste connessioni è Miles Heller. Miles ha 28 anni, vive in Florida insieme alla fidanzata minorenne Pilar, occupandosi di lavoretti occasionali e del proprio hobby: fotografare oggetti abbandonati in case pignorate dalle banche. Da sette lunghi anni è in esilio volontario dalla sua New York e da un passato di ombre e traumi, dal quale è voluto fuggire. A causa della clandestinità del suo rapporto con Pilar è costretto a scappare di nuovo, ripercorrendo a ritroso la via che lo ha allontanato dalla sua vita precedente. Dovrà affrontare dolorosamente i propri fantasmi, gli amici e la famiglia cha aveva abbandonato senza una parola, ricostruire la sua esistenza laddove l’aveva interrotta nel vano tentativo di espiare le proprie colpe.
In quest’opera di Auster tornano tutti i temi a lui più cari: New York, il caso, il cinema, il baseball, la letteratura, la musica. I personaggi del romanzo, numerosi, complessi, fragili come tutti i personaggi di Auster, sono tutti collegati tra loro, anche quando non si incontrano (“Il mondo è davvero piccolo” affermano Morris ed Enzo in una delle pagine finali), da innumerevoli sottilissime connessioni: oltre a Miles, c’è la casa in Sunset Park, occupata illegalmente; il film “I migliori anni della nostra vita”, dalla letteratura. Migliaia di trame invisibili connettono gli abitanti di una New York dove gli sfratti, i lavori saltuari e la crisi economica sono uno scenario ormai comune, una New York che appare un paese dei balocchi per la giovane Pilar e per le sue speranze, che appare una subdola tiranna, dalla quale non si può più ripartire ma che succhia ogni energia e ogni sostanza, per coloro che vi sono cresciuti o vi risiedono da anni. Un altro tema fondamentale è il destino. Il caso, il fato hanno un ruolo fondamentale nelle esistenze di tutti i personaggi: spesso gli uomini sembrano burattini che compiono azioni controllate non dal loro libero arbitrio ma dal destino, che li fa incontrare, scontrare, che li allontana a suo piacimento e secondo un disegno del tutto incomprensibile. Anche quando ogni cosa sembra tornata nei giusti binari e un lieto fine pare inevitabile, tutto può essere gettato all’aria imprevedibilmente, come un castello di carte colpito da una folata di vento. Un altro aspetto sicuramente interessante è l’incomunicabilità. Tutti i personaggi hanno un mondo interiore ricco di ossessioni, segreti, ferite che però risultano impossibili da esternare. Sono pochissimi i personaggi che riescono ad uscire, anche solo momentaneamente, da questo sistema omertoso e parco di confidenze. I rapporti tra i personaggi appaiono spesso molto superficiali mentre connessioni profondissime in realtà si sono instaurate tra loro (si veda per esempio il rapporto tra Bing e Miles). La comunicazione più difficoltosa però appare quella tra genitori e figli, un tema che ricorre continuamente e detta il ritmo dell’intera narrazione. È in questo contesto che si inserisce il ridondante “I migliori anni della nostra vita”, un film per eccellenza sull’incomunicabilità tra diverse generazioni.
Ci sono migliaia di altre cose che si potrebbero dire e che si potrebbero discutere di “Sunset Park” (i personaggi femminili così combattuti e oppressi dal loro ruolo di lavoratrici e di donne, il corpo e la sessualità come mezzi di comunicazione, l’interesse spasmodico di Miles per gli oggetti abbandonati e le lapidi del cimitero di Green-Wood) ma la complessità e la bellezza di questo romanzo risiedono proprio in questa fitta rete di temi e storie. Ogni lettore troverà nuovi targomenti su cui riflettere e nuove connessioni che ai miei occhi sicuramente non si sono palesate. Certo è che non è facile trovare al giorno d’oggi una prosa del calibro di quella di Auster. Una vera perla.

mercoledì 4 luglio 2012

"A volte ritorno", John Niven


Dopo un estenuante mese lavorativo, in cui ho avuto ben poco tempo da dedicare alla lettura, ecco che ritorno con le mie letture precarie!
Forse proprio a causa dello scarso tempo che ho dedicato a questo libro, forse a conferma della mia teoria che i libri ti devono chiamare e sanno quando sei pronto ad accoglierli dentro di te, ma questa lettura non mi ha entusiasmata, un paio di amici e il mio fidanzato mi avevano parlato di “A volte ritorno” come di un capolavoro, un’opera imperdibile, addirittura del libro dell’anno. Ecco, come dirvelo… no, questa non è decisamente la mia opinione. Non che non sia una lettura simpatica e rilassante, ma gli elogi elargiti da chi lo aveva letto prima di me mi hanno probabilmente fuorviata inducendomi ad aspettarmi qualcosa di decisamente migliore.
La storia parte da Dio di ritorno da una vacanza di una settimana (diversi secoli per il tempo terrestre) che ritrova la sua preziosa creazione, la Terra, sprofondata nel delirio. La colpa è in parte attribuita a Mosè che, in un momento di megalomania, ha inciso nella pietra dieci comandamenti un po’ troppo pretenziosi, mentre il messaggio divino era decisamente più semplice e assoluto: “Fate i bravi”. Dopo varie sfuriate e una gita dall’ inquilino del piano di sotto (un Satana mangione e viscido che guida il lettore tra i suoi “ospiti” di lusso e le loro spietate punizioni eterne, in pieno stile dantesco), la decisione più plausibile per riportare il messaggio divino sulla Terra appare una sola: mandare nuovamente Gesù in missione. Ovviamente sono passati secoli e l’operazione va riadattata: Gesù è un ragazzo di New York che prova a diventare famoso con una band rock scalcagnata, mentre si fa in quattro per aiutare balordi e sfortunati che invadono le strade della metropoli. Ma la sua missione è quella di portare il messaggio “Fate i bravi” a tutta l’umanità. E quale mezzo si ha al giorno d’oggi per farsi conoscere il più in fretta e diffusamente possibile? Partecipare ad un talent show canoro!
Il pregio principale di questo romanzo, oltre ad uno stile frizzante e scorrevolissima, è quello di saper essere allo stesso tempo terribilmente blasfemo (se siete molto religiosi, in particolare cattolici, e con poco sense of humor non ve lo consiglio!) e profondamente religioso e mistico, tentando di passare un messaggio molto semplice: siamo proprio sicuri di fare ciò che Dio davvero vorrebbe da noi?
Sperando di non aver creato in voi troppe aspettative, né di averlo smontato troppo, ve lo consiglio come divertente lettura estiva, senza troppe pretese.