martedì 21 febbraio 2012

“La luce che c’è dentro le persone”, Banana Yoshimoto


Questo racconto fa parte della collezione “Zoom” di Feltrinelli, una bella iniziativa low-cost (0.99€) per lettori e-book, per far conoscere alcuni grandi scrittori. “La luce che c’è dentro le persone” è un racconto di Banana Yoshimoto tratto dal suo “Ricordi di un vicolo cieco”. La scrittrice ci narra un episodio della propria infanzia il cui protagonista è Makoto, un suo coetaneo e grande amico. Il piccolo è figlio illegittimo di un ricco pasticcere, allontanato dalla madre naturale per salvare le apparenze della tradizionale famiglia paterna. Makoto è un bambino speciale, di una sensibilità e di un candore senza uguali. È lui con il quale la Yoshimoto scopre la luce che c’è dentro le persone e che illumina col suo calore anche coloro che le circondano. Una dolce e struggente fiaba che scalda il cuore.

sabato 18 febbraio 2012

“Libero chi legge”, Fernanda Pivano




In questo periodo purtroppo non sempre trovo il tempo per leggere e godermi un buon libro. A causa del lavoro e dei vari impegni spesso non riesco a dedicarmi alla mia vera passione. Per questo ho scelto un libro che è un concentrato di storie, quasi una bibbia della letteratura americana. Fernanda Pivano è stata una delle più grandi giornaliste, letterate e critiche italiane. Fin da ragazza, nel periodo fascista e sotto la guida di Cesare Pavese (suo professore prima al liceo D’Azeglio di Torino e poi alla facoltà di Lettere), comincia a tradurre dall’inglese grandi opere della letteratura americana. La sua primissima traduzione è proprio Pavese a commissionarla: nel 1943 pubblica la prima versione italiana di una selezione di poesie dell’“Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. 
“Libero chi legge” è una sorta di memoriale di grandi libri che hanno segnato la vita della Pivano e che diventano pretesto per raccontarci curiosità, pettegolezzi, grandi avventure sia degli autori della grande letteratura U.S.A. sia dell’autrice stessa. Il pretesto letterario è il discorso di Franklin Delano Roosevelt sulle quattro libertà (1941), la base del sogno americano e della sua letteratura, particolarmente caro a Fernanda Pivano. I libri che si susseguono sono presentati non in uno sterile ordine cronologico ma sulla base delle libertà: dalla morale, sessuale, di parola e dalla violenza. Il lettore è guidato con mano sicura tra i grandi innovatori della letteratura americana, coloro che l’hanno creata, emancipandosi dallo stile europeo e anglosassone che fino ad allora l’aveva influenzata: la beat generation capitanata da Jack Kerouac, l’immancabile Hemingway (grande amico della Pivano, che per la traduzione di “Addio alle armi” è stata addirittura arrestata), Scott Fitzgerald, Gertrude Stein con Alice B. Toklas, Saul Bellow, Henry Miller, Truman Capote, un salto nel passato con Melville, James Fenimore Cooper, Edgar Allan Poe  per poi giungere fino ai più giovani Paul Auster, David Foster Wallace e Jonathan Safran Foer. È una carrellata su 150 anni di grande letteratura raccontata da una dei suoi grandi protagonisti. La passione dell’autrice è trascinante e il suo sguardo critico e la sua formidabili cultura ed intelligenza offrono una serie infinita di aneddoti spassosi e interessanti, una fantastica lista di ottimi libri che viene voglia di leggere e, soprattutto, una chiave di lettura acuta e stimolante per ogni opera presentata. Per gli amanti della letteratura americana e in generale della lettura è un’opera davvero imperdibile. Ve lo consiglio caldamente.

martedì 7 febbraio 2012

“Agnes Grey”, Anne Brönte



La mia segreta passione/debolezza sono i grandi romanzi d’amore classici. Ho cavalcato per la  brughiera con Catherine e Heathcliff, ho soccorso l’infermo Mr Rochester insieme a Jane Eyre, ho palpitato d’amore per Mr Darcy, mi sono indignata per la superficialità di Emma.
Le mie aspettative nei confronti di questo romanzo erano piuttosto elevate. Ma, aimè, Anne Brönte non è le sue sorelle e ne risulta che Agnes Grey non possiede l’indomito fervore di Catherine Earnshaw in “Cime tempestose”, né la bontà, la generosità e la risolutezza di Jane Eyre. Agnes è una povera figlia di pastore che, spinta in parte dalla mancanza di mezzi della propria famiglia sia da un proprio capriccio personale, decide di intraprendere la carriera di governante. Il suo racconto si dipana tra famiglie di ricchi parvenu che la maltrattano (e ai quali la protagonista non risparmia aspre critiche), fanciulli capricciosi e violenti, giovani ereditiere vanesie, affettate e superbe, poveri curati di campagna che non fanno che visitare infermi e proclamare sermoni nelle funzioni domenicali. Si tratta di una storia parecchio noiosa in cui non accade mai nulla di significativo e in cui ogni piccolo evento viene raccontato dalla protagonista allo scopo di declamare la propria superiorità morale e quella del suo innamorato, camuffandola poi con qualche scusa e finta modestia. Insomma Agnes Grey conduce una vita che ha ben poco di memorabile e ce la narra dal suo punto di vista, quello di un’acida bacchettona moralista.

giovedì 2 febbraio 2012

“Beethoven era per un sedicesimo nero”, Nadine Gordimer


In questo racconto breve il premio Nobel Nadine Gordimer affronta il tema della ricerca della propria identità in un Paese che sta cercando se stesso dopo anni di Apartheid. In Sudafrica il professore universitario Frederik Morris si appassiona alla storia del suo bis-nonno arrivato in Sudafrica per fare fortuna con i diamanti e ritornato in Inghilterra dopo 5 anni passati in Africa. Il dubbio di Frederik è che durante quegli anni trascorsi lontani dalla moglie, il suo avo possa aver conosciuto altre donne africane e che egli possieda cugini di vario grado dalla pelle scura. Si mette quindi alla ricerca di propri omonimi a Kimberly (zona di intensa estrazione di diamanti, come testimonia il Big Hole). La ricerca è disperata e i frutti impossibili da cogliere ma è un bisogno viscerale di creare nel proprio Paese radici che non si possiedono, sentirsi parte di quella che è una maggioranza (seppur svantaggiata) a condurre Frederik. Pensare di essere per un sedicesimo nero fa sentire il protagonista integrato e soprattutto legittimato nelle scelte e nelle lotte di gioventù contro l’Apartheid, come se in parte essere africano lo rendesse più degno di combattere quella battaglia.

mercoledì 1 febbraio 2012

“Della bellezza”, Zadie Smith


Howard Belsey è un cinquantasettenne docente universitario, inglese trapiantato in un college statunitense, in crisi di mezza età. Il suo lavoro infinito su Rembrandt non è ancora pronto per la pubblicazione, ha tradito la moglie afro-americana Kiki e cerca di tenerlo nascosto. Infine al Wellington College sta per arrivare come docente ospite il suo acerrimo nemico di una vita Monty Kipps, ultraconservatore, ultra religioso, in disaccordo con tutte le sue teorie su Rembrandt, e soprattutto di enorme successo e fama. Howard comincia un viaggio interiore verso il baratro, esplorando se stesso e l’idea di fallimento ed egoismo che gli altri hanno di lui e delle sue stranezze. Un viaggio nelle bellezza e negli errori che egli inesorabilmente commette tendendo ad essa. Howard è circondato da una serie di personaggi anch’essi alla scoperta di loro stessi: i figli Jerome, straziato da un amore idealizzato e perduto, Zora, disposta a tutto pur di primeggiare in ogni attività, e Levi, alla ricerca di una sua propria identità culturale che lo rappresenti maggiormente rispetto allo status di borghese meticcio privilegiato. E poi c’è Kiki che cerca disperatamente di uscire dalla propria solitudine e di riscoprire il suo ruolo nel mondo, al di là dell’essere moglie (tradita) e madre chioccia che vede i suoi piccoli pronti a lasciare la sua ala protettrice. Ogni personaggio dovrà scontrarsi con le proprie contraddizioni interiori, affrontando il gap inevitabile tra ciò che vorrebbero essere ed apparire e ciò che invece sono veramente, come il mondo esterno li giudica.
Zadie Smith ha uno stile inconfondibile e meraviglioso, sa trascinare il lettore con raffinatezza e grazia tra le volute della propria penna. Inoltre fa un uso massiccio di neologismi, slang e linguaggio puramente accademico, mescolandoli e creando un insieme armonico ed equilibrato, che la rende squisitamente inimitabile. Il difetto di questo libro, a mio parere, è il senso di incompletezza. Molti personaggi e situazioni vengono introdotti ma poi lasciate in sospeso, dimenticati. Leggendo mi aspettavo invano che venissero ripresi e non potevo far altro che pensare alla pistola di Cechov.