giovedì 19 gennaio 2012

“La coscienza di Zeno”, Italo Svevo


Il ritorno al lavoro dopo la pausa natalizia e affrontare la lettura de “La coscienza di Zeno” mi avevano ridotta al silenzio. Ho affrontato dure e lunghe giornate di laboratorio per poi rifugiarmi al calduccio a casa e leggere questo tomo. Per onestà intellettuale devo ammettere che non è stato affatto facile. Più di una volta mi è capitato di crollare addormentata dopo poche righe. Ma va detto che nonostante non sia una “lettura da spiaggia” quest’opera mi è piaciuta e anche parecchio. Si tratta delle memorie di Zeno Cosini, un triestino di fine Ottocento. Egli intraprende la dolorosa avventura di mettere per iscritto la propria vita su consiglio del proprio psicanalista. Questi, il dottor S. (Sigmund? Svevo/Schmitz?), per vendetta, dopo la decisione di Zeno di interrompere le sedute, decide di pubblicarle. Il protagonista affronta, con la tipica confusione e scarsa linearità del flusso di coscienza, i grandi temi che hanno caratterizzato la sua esistenza: il fumo, la passione per le donne, il commercio. A narrare il tutto è proprio lui in prima persona e quindi ogni sua azione è filtrata dal suo desiderio di riscattarsi e giustificarsi. Nonostante ciò traspare che Zeno è un uomo ipocondriaco, inetto, troppo spesso trascinato dagli eventi, incapace di portare a conclusione il benché minimo proposito. Ma ciò nonostante egli non può che conquistare la simpatia del lettore (o forse solo la mia?) proprio perché incarna tutti i difetti che almeno in parte risiedono in ognuno di noi. Egli tenta disperatamente per tutta la vita di fingersi migliore di quello che in realtà è, e in continuazione cerca di migliorarsi per cercare di guarire dalla propria malattia (che in fondo non è altro che l’insoddisfazione). Un esempio è quello del fumo: ad ogni importante evento della propria vita egli si ripropone di smettere di fumare ma solo per ricominciare con il suo vizio più accanito che mai già dopo pochi minuti. Egli è anche un inetto che spesso tende a perdere il controllo della propria vita per lasciare che questa scivoli via da lui senza troppo sforzo. È questo il caso del suo matrimonio, avvenuto dopo un rocambolesco corteggiamento delle due sorelle della sposa.
Su un’opera come questa ovviamente troverete qualunque genere di commento e critica possibile. A mio parere il focus dell’intera opera risiede in una delle pagine conclusive del libro. Zeno si domanda, come quando era bambino, se egli è in fondo una persona buona o cattiva.

“…me ne venne un dubbio curioso e subito dopo un curiosissimo ricordo. Il dubbio: ero io buono o cattivo? “

Questa in fondo è una domanda che prima o poi ognuno di noi si pone nella vita: siamo davvero persone buone e pure o in fondo a noi si annida il male, l’oscurità? Zeno scrive la sua biografia con l’intento di mostrarsi (al suo medico, alle persone che lo circondano, ma soprattutto a se stesso) una persona migliore di quanto in fondo non sia. Tenta disperatamente di trasformare attraverso le parole la sua persona e diventare così colui che in fondo avrebbe voluto essere. Il suo racconto è probabilmente infarcito di menzogne ma infondo è proprio questo disperato tentativo di essere accettato (dagli altri e da sé) che mi spinge a simpatizzare con lui e con le sue infinite debolezze. 

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