domenica 19 aprile 2015

"Stalin + Bianca", Iacopo Barison


Purtroppo il tempismo non è dalla mia parte nello scrivere di questo libro. Pochi giorni fa, infatti, "Stalin + Bianca" non ce l'ha fatta, e non è entrato a far parte della rosa di semifinalisti del premio Strega. Eppure è straordinario che un piccolo libro di un ragazzo giovanissimo come Iacopo Barison (classe 1988), edito dalla casa editrice indipendente Tunué nella collana Romanzi, curata da Vanni Santoni, sia stato nominato e preso in considerazione per un premio che molto spesso ha fatto dell'immobilismo e della convenzionalità il proprio marchio di fabbrica. Che le cose stiano finalmente cominciando a muoversi? Barison nonostante la giovane età ha già pubblicato un romanzo, apparso sul suo blog (Xanax & Co.), e collabora con minima&moralia. "Stalin + Bianca" prende il nome dai due protagonisti di questa storia: Stalin ha 18 anni, dei grandi baffi che gli sono valsi il suo soprannome, e un grave problema di gestione della rabbia. Ha solo due amici: Jean, un vecchio guardiano che in realtà lo sfrutta, e Bianca, una bella ragazza cieca, per cui Stalin nutre un amore platonico. Il ragazzo vorrebbe fare il regista, ma passa le sue giornate lavorando in un cinema multisala e svolgendo lavoretti per Jean, in una grigia periferia degradata e anonima. Dopo una violenta lite con il compagno della madre, convinto di averlo ucciso a causa della sua incontrollabile furia, Stalin decide di fuggire insieme a Bianca. Senza denaro e senza prospettive, i due ragazzi intraprendono un viaggio attraverso una nazione sull'orlo del baratro, in uno scenario quasi apocalittico, dove gli arcobaleni si sono estinti e con essi la speranza. Nessun luogo, nessun personaggio, eccezion fatta per i due protagonisti, viene nominato. Il Paese che i due ragazzi attraversano potrebbe essere l'Italia, oppure no, e l'apocalisse che la telecamera di Stalin immortala potrebbe essere il presente, oppure no. Tutto fa da sfondo alla storia di questo ragazzo. Ma non aspettatevi un romanzo di formazione o un viaggio della speranza: tutto appare immobile, statico. Nulla si evolve davvero, in primis non lo fa Stalin, e nel finale nessun arcobaleno compare a illuminare il suo cammino. 
Questa storia molto triste e dai toni spesso claustrofobici, è scritta molto bene. Iacopo Barison scrive con grande talento e alcuni passaggi sono estremamente poetici. Fa un uso del dialogo davvero interessante e mai banale: i discorsi tra Bianca e Stalin, spesso sfociano in silenzi che vengono riempiti dai pensieri del ragazzo, ma il passaggio è tanto naturale che il ritmo della narrazione non subisce variazioni, e il flusso di coscienza è strumento necessario per dar voce al protagonista. Ciò che potrebbe migliorare la sua scrittura è solo un pizzico di naturalezza in più (dietro ogni parola si sente il lavoro e la ricerca minuziosa che l'autore ha compiuto, ma in alcune occasioni questo fa suonare l'intero passaggio poco naturale, vagamente forzato), ma l'esperienza di certo giocherà un ruolo decisivo in questo. "Stalin + Bianca" è qualcosa di molto nuovo e diverso per il panorama letterario italiano, è una boccata d'aria fresca, un romanzo dal respiro meno provinciale di molti libri che ogni anno vengono pubblicati nel nostro Paese. Di certo sentiremo ancora parlare di questo giovane scrittore, vi consiglio di tenerlo bene a mente. 

martedì 31 marzo 2015

“Storia di chi fugge e di chi resta”, Elena Ferrante

Non si fa altro che parlare di Elena Ferrante, a quanto pare, e non solo in Italia. Anche all’estero, escono le traduzioni dei suoi libri, si pubblicano recensioni e articoli in cui si fanno congetture sulla sua identità. Qui in Inghilterra non vi è libreria in cui non sia esposta la tetralogia napoletana, in moltissime librerie Waterstone (dove i commessi espongono sugli scaffali i loro libri preferiti, apponendo fascette ad hoc in cui spiegano cosa amano e perché il cliente dovrebbe leggere un certo romanzo) “L’amica geniale” è indicata tra i “colpi di fulmine” dei lettori. In Italia insieme alla fama della tetralogia cresce la schiera dei suoi detrattori, in uno stile che, come avevo gia denunciato in un post precedente, è molto italico (e alquanto odioso). Sei famoso e vendi? Ti amano all’estero? Per forza ti dobbiamo snobbare (arrivando al punto di paragonare i tuoi libri a dei romanzetti rosa un po’ pruriginosi), dobbiamo odiare ciò che scrivi e trovare qualcosa di losco nel tuo successo. Se poi sei una donna (forse) che scrive di donne, e se non vuoi mostrare da anni il tuo volto ai giornalisti e ai tuoi lettori, allora sei anche colpevole di qualche strano giochetto editoriale, di codardia o di chissà quale altro imperdonabile crimine. Ho già scritto un paio di volte di Elena Ferrante (troverete nel blog la recensione de “L’amica geniale”), e sono una delle sue ammiratrici, seppur non della prima ora. Il mondo dei lettori a quanto pare si divide tra i suoi accaniti fan e i suoi imbestialiti antagonisti. Con la candidatura allo Strega, preparatevi a sentirne molto parlare (male o bene).
Ma passiamo a cosa davvero mi/vi interessa: “Storia di chi fugge e di chi resta”. Lena e Lila sono cresciute. Lena ha studiato alla Normale di Pisa, si è laureata, ha conosciuto Pietro Airota, figlio di una famosa coppia di intellettuali e accademici, e sta per sposarlo. Ma soprattutto l’avevamo lasciata alla fine di “Storia del nuovo cognome” a presentare il suo primo romanzo e a ritrovarsi davanti, dopo anni, il suo primo amore, Nino Sarratore, tornato dal passato come un fantasma. Lila invece vive la sua difficile condizione di donna separata e di madre single. Lavora in una fabbrica di insaccati e deve lottare per la sopravvivenza quotidiana con la sua solita ferocia. Come spesso è accaduto nel passato, la loro amicizia sembrava finita, ma poi, nel momento del bisogno, Lila è ricomparsa, portando squilibrio e insicurezza nella vita di Elena. Questa si trasferisce a Firenze e comincia la sua nuova vita di moglie e madre, divisa tra il suo bisogno di primeggiare e lavorare al suo secondo romanzo, l’impegno politico, e il suo desiderio di dimostrare al mondo, a Lila, ma soprattutto a se stessa, di aver meritato il proprio successo, ma anche tra la maternità, la mancanza di tempo, la dura scoperta della vera natura di Pietro, egoista e problematico, concentrato solo sulla propria carriera e insensibile ai bisogni e ai desideri della moglie. Lila e Lena crescono e affrontano la disillusione della vita, a distanza ma in qualche modo unite dal loro rapporto di amore e odio, di viscerale sorellanza e di morbosa competizione. Le insicurezze di Lena sono le insicurezze di tutte noi: sempre alla ricerca della perfezione, del miglioramento, ma non per un bisogno personale, quanto per mettere a tacere la paura di non essere all’altezza di coloro che la circondano, di non essere degna della loro fiducia. Nonostante l’università e la carriera di scrittrice, Elena Greco resta Lenuccia, la ragazzina insicura del rione, che cerca disperatamente l’approvazione di tutti, che tenta di dimostrare di essere migliore di Lila, suo punto di riferimento e modello. Il loro rapporto contorto, spesso incomprensibile e contraddittorio, è il motore e l’anima di questo terzo capitolo della tetralogia. L’amore è forte ma a tratti pare dominare l’odio, la volontà di ferire e di ferirsi. Perché se Lila soffre, soffre anche Lena, ma questo non le ferma nel loro gioco autodistruttivo. Lila continua a vedere nell’amica la sua via di fuga dal rione, da Napoli, dalla grama vita a cui è stata destinata, ma nel far ciò diventa spietatamente esigente e crudelmente critica verso l’amica, che invece vorrebbe solo sentire l’appoggio, l’approvazione e, soprattutto, l’invidia dell’altra, la sua ammissione di aver perso la guerra instaurata nell’infanzia. Ma Lena e Lila sono indivisibili perché sono una diversa sfaccettatura della stessa donna, forte, indomita, incapace di accettare in silenzio le regole imposte da un mondo in cui sono gli uomini a dominare, in cui le donne hanno potere tra le mura di casa e solo se fanno il gioco dei loro padri, fratelli, mariti. Gli uomini, nella tetralogia de “L’amica geniale” sono tutti tristemente uguali, qualunque sia la loro estrazione sociale e la loro educazione. Deboli, spaventati dai cambiamenti del mondo (in questo libro stiamo attraversando gli anni ’70 con le loro rivoluzioni culturali e con la nascita del movimento femminista), violenti quando sentono vacillare il dominio imposto alle loro donne. Ma se le loro madri hanno sempre accettato il giogo e la violenza, rinunciando alle ambizioni personali a scapito dei bisogni dei loro mariti, Lila e Lena sono diverse, sono embrioni di donne moderne, che vogliono emanciparsi, che vogliono i loro desideri (anche sessuali) diventare realtà, ma che ancora devono scontrarsi con l’educazione loro impartita, con la cultura forte e difficilmente cancellabile del rione. È emblematico che Lena tenti di far parte di un gruppo di intellettuali femministe a Firenze, o cerchi di accettare le idee e il comportamento della cognata Mariarosa, libertina, comunista e fortemente femminista, ma che in fondo tenda sempre a giudicare con gli occhi di sua madre, la verace casalinga napoletana che si scandalizza per un matrimonio civile. Ma questo rende le due protagoniste delle donne vere di un’epoca che ormai potrebbe sembrare lontana, donne combattute e sfaccettate, che cercano di conquistare la libertà coi loro mezzi personali e non attraverso il percorso prestabilito da altri. Lo stesso vale per la lotta sindacale di Lila, che rinuncia formalmente al supporto del partito comunista e intraprende una battaglia personale, quasi fisica, contro il suo datore di lavoro.
“L’amica geniale” e i romanzi che compongono questa tetralogia sono moltissime cose, ma di certo non sono un romanzetto rosa per casalinghe disperate. Sono una storia vera e vibrante di donne che lottano, spesso con metodi sbagliati, per ottenere una vita migliore. Sono una storia d’Italia vista con gli occhi dei più deboli, dove i grandi fatti sono sfondo di esistenze vere, e tragedie personali e storia si mescolano, diventano inseparabili. È una storia di amicizia e sorellanza che sconfigge il tempo, è il racconto di due donne che vogliono farcela.
Non so se Elena Ferrante sia una donna, un uomo, un gruppo di scrittori, un’operazione commerciale ben architettata e riuscita. Ma so che “Storia di chi fugge e di chi resta” è l’ennesimo splendido libro che porta questo nome in copertina. Vedremo quale sarà il verdetto dello Strega, vedremo molti, moltissimi altri articoli in cui si faranno congetture, in cui si criticherà, in cui si faranno paragoni ridicoli, molti, moltissimi altri in cui si loderà con passione l’opera di questo fantasma letterario. Non so quanto questo possa giovare al panorama culturale italiano, non so neppure se questo davvero mi interessi. Ma come lettrice non vedo l’ora di leggere “Storia della bambina perduta”, perdermi tra le sue pagine, amare, odiare, vivere con Lila e Lena per un’ultima indimenticabile volta. 

domenica 29 marzo 2015

“Il Baco da Seta”, Robert Galbraith

Cormoran Strike ritorna dopo il successo de “Il richiamo del cuculo”. Sono passati alcuni mesi da quando il detective ha risolto il misterioso caso Lula Landry, la supermodella londinese precipitata dal balcone di casa propria. La fama acquistata grazie al caso Landry lo ha aiutato a espandere la propria clientela, a sistemare le proprie finanze, e così facendo ha potuto offrire un posto fisso alla fida e brillante Robin, la segretaria che lo ha aiutato in precedenza. Le loro esistenze stanno lentamente tornando alla normalità, da quando l’interesse della stampa è calato. Robin sta per sposare Matt, nonostante le divergenze che riguardano il lavoro della ragazza, che il fidanzato non approva; Cormoran ha finalmente un appartamento, si occupa di più del proprio moncherino, ha molto lavoro, per lo più amanti, mogli e mariti fedifraghi da sorvegliare, e sta dimenticando Charlotte, dopo sedici anni di burrascosa relazione. Un giorno la tranquilla routine del detective e della sua assistente viene sconvolta dall’arrivo in ufficio di Leonora Quine, che denuncia la scomparsa del marito, lo scrittore Owen Quine. L'uomo si è dato alla fuga dopo una furiosa lite pubblica con la sua agente, a causa del suo ultimo libro, Bombyx Mori, il baco da seta, un romanzo crudo e allegorico in cui lo scrittore si dipinge come vittima di una serie di personaggi, in cui sono facilmente individuabili persone autorevoli dello scenario editoriale londinese: oltre alla moglie e all’amante, Kathryn Kent, infatti Quine deride e accusa la propria agente, Elizabeth Tassel, il suo editor, Jerry Waldegrave, l’editore, Daniel Chard, e un famoso scrittore di fama internazionale, Michael Fancourt, suo acerrimo nemico da anni. Il libro non ha visto le stampe, a causa del suo contenuto volgare e diffamatorio, ma l’intero panorama editoriale e culturale londinese ne parla, proprio per via delle dure accuse che Quine, allegoricamente ma non troppo, lancia a coloro che considera i fautori della propria sfortuna letteraria. Il romanzo si conclude con i sette personaggi che Bombyx Mori incontra lungo il suo viaggio che lo uccidono e fanno scempio del suo corpo, banchettando della sua carne. Cormoran inizia la ricerca, tentando di capire meglio Quine, un narcisista eccentrico e piuttosto perverso, e di carpirne i segreti attraverso i reticenti racconti della moglie, i pettegolezzi e le mezze verità degli addetti ai lavori della sua casa editrice. Ma la situazione precipita quando il corpo di Quinde viene ritrovato, orribilmente mutilato e sventrato, come quello del protagonista del suo romanzo. Tutti gli indizi portano a Leonora, ma l’istinto di Strike lo spinge a indagare, per tentare di risolvere un mistero sempre più fitto. Chi poteva conoscere il finale di un libro tenuto segreto? E chi odiava Owen Quine a tal punto?
J.K.Rowling torna a scrivere sotto lo pseudonimo di Robert Galbraith e torna con un giallo molto ambizioso. Caduta la maschera di anonimato che l'aveva protetta all'uscita de "Il richiamo del cuculo", le aspettative erano tante, soprattutto tra i suoi fans. E queste probabilmente rimarranno solo parzialmente soddisfatte. La Rowling scrive bene, come già detto in precedenza dopo l'uscita de "Il seggio vacante", ha un'ottima capacità di descrivere i personaggi, di renderli umani e vivi. La narrazione è piena di ritmo, difficilmente ci si stacca dal libro prima del finale. Ma l'opera è forse un po' troppo pretenziosa nell'insieme. Mette moltissima carne al fuoco che però poi viene un po' dimenticata (io sono checoviana, se nella prima scena del dramma, c'è un fucile appeso alla parete, questo dovrà sparare nell'ultimo atto). Forse ambientare un giallo nel mondo dell'editoria è un po' pericoloso, visti i complessi meccanismi che la regolano, anche se è molto interessante la critica che la Rowling rivolge ai propri colleghi e collaboratori (con meno volgarità e più classe del Bombyx Mori di Quine, ma anche lei pare togliersi qualche sassolino dalla scarpa). Di certo è un poliziesco molto piacevole seppur con qualche pecca narrativa, ma forse meno riuscito de "Il richiamo del cuculo".

giovedì 12 marzo 2015

“Longbourn House” , Jo Baker

Longbourn si sveglia prima dell’alba, al canto dei galli, e subito cominciano le frenetiche faccende per portare alla vita la casa della famiglia Bennett. Sarah, strofinando nell’acqua gelata le sottovesti inzaccherate di fango di Elizabeth Bennett, pensa che se la sua giovane padrona e le sue sorelle dovessero anche solo una volta occuparsi del proprio bucato, forse sarebbero più attente durante le loro passeggiate. Avete letto bene:  Longbourn ed Elisabeth Bennett. Stiamo parlando di “Orgoglio e Pregiudizio” ma leggendo questo piacevole romanzo di Jo Backer non aspettatevi molte crinoline, nastri e the delle cinque, ma piuttosto torte che attendono di essere infornate, panni da lavare e pavimenti da spazzare. Siamo a casa Bennett, i Bingley sono appena arrivati a Netherfield Park, la milizia si sta accampando a Meryton, e le vicende delle sorelle più famose della letteratura inglese ci vengono raccontate dal punto di vista di coloro che in “Orgoglio e Pregiudizio” rimangono nell’ombra: la servitù. Sarah è la protagonista: ha vent’anni e, seppur Longbourn  sia l’unico mondo che abbia mai conosciuto, sente che  suoi piccoli confini la stanno soffocando. La sua vita, scandita dai ritmi delle faccende domestiche, viene sconvolta dall’arrivo del misterioso James Smith, assunto come cocchiere e domestico dai Bennett, che legge libri di filosofia e nasconde una borsa di conchiglie. Dapprima piena di speranze e di aspettative, il giovane è infatti il primo uomo, oltre a Mr Bennett e a un vecchio servitore, a fare parte della sua vita, Sarah ben presto si ritrova a detestare James e la sua alterigia. Fin dall’inizio è chiaro che la storia di James e Sarah, nonostante l’escalation di incomprensioni, l’orgoglio e il pregiudizio, sia destinata a seguire il destino di quella che sta sviluppandosi al piano superiore, tra Elizabeth Bennett e Mr Darcy. Ma purtroppo il percorso che porta alla felicità è costellato di ben altri ostacoli per coloro che provengono dalle fasce più povere della popolazione e James e Sarah dovranno lottare duramente per vedere il loro amore trionfare.
“Longbourn House” è un romanzo piacevole e senza particolare infamia né lode. La vita quotidiana della servitù in una casa di inizio Ottocento, di medie dimensioni e di limitati mezzi economici è descritta in modo molto veritiero, ed inoltre viene approfondito il contesto storico in cui si svolgono le vicende, del tutto assente nell'opera originale (oltre alle idilliache campagne inglesi c'è un'Europa flagellata dalle guerre e dal bonapartismo). Le storie della governante, Mrs Hill, di suo marito e della piccola Polly si intrecciano con le avventure di Sarah e James rendendo vivido e a tratti struggente il racconto. A non uscirne benissimo invece sono i personaggi principali di “Orgoglio e Pregiudizio”. Le sorelle Bennett sono oziose e frivole e, per quanto gentili con Sarah, sono spesso dipinte dalla loro cameriera come viziate ed egoiste. Mr Darcy viene affrontato direttamente dalla giovane solo una volta e l’impressione è che il pregiudizio di Elizabeth non fosse poi tanto infondato. Ma anche se avete amato molto il tagliente e sagace Mr Bennett dovrete subire una bella doccia fredda. Questo è un romanzo che può piacere sia ai fans di “Orgoglio e Pregiudizio” (è sempre bello tornare nei luoghi amati) ma che non è indirizzato esclusivamente a coloro che hanno letto il celeberrimo romanzo di Jane Austen. Le due opere infatti si integrano e procedono perfettamente in parallelo, e Polly, Sarah e Mrs Hill raccolgono le confidenze dei padroni, origliano le loro conversazioni, sono sempre presenti, seppur nell’ombra, ad ogni evento importante della famiglia Bennett, che ci viene quindi narrato da un punto di vista del tutto inedito.

domenica 22 febbraio 2015

"Noi", David Nicholls

Douglas e Connie sono due persone completamente diverse. Connie è un'artista, sognatrice, caotica, Douglas è un biochimico, preciso, ossessivo nella sua ricerca dell'ordine e della perfezione. Eppure, nonostante le differenze, i due si innamorano e trascorrono venticinque anni insieme, tra alti e bassi. Fino a una notte d'estate, in cui Douglas viene svegliato da Connie che gli annuncia di volerlo lasciare non appena Albie, loro figlio, partirà per il college. Nonostante la crisi di coppia, la famiglia Petersen decide di partire per il "Grand Tour", un viaggio lungo un mese, in giro per l'Europa, per visitare i musei e le gallerie d'arte più famosi del mondo. Se per Connie questa rappresenta l'ultima vacanza della famiglia unita e per Albie è una tortura dover viaggiare con i propri genitori invece di andare a Ibiza con gli amici, per Douglas il viaggio rappresenta l'ultima possibilità di riconquistare Connie e salvare il suo matrimonio. Ma ben presto le tensioni accumulate negli anni hanno il sopravvento e il  rapporto conflittuale tra padre e figlio intossica lo spirito della vacanza, tanto da indurre Albie, dopo l'ennesima lite con suo padre, a fuggire con Kat, una giovane artista di strada. Douglas si mette sulle sue tracce, in un disperato tentativo di riunire la sua disastrata famiglia, ricucire il rapporto con suo figlio e riconquistare il cuore di Connie.
"Noi" è il secondo romanzo di David Nicholls che leggo, dopo "Un giorno", il libro che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Dall'amore tra due persone che crescono insieme, Nicholls passa ad un'altra generazione, quella dei cinquantenni. Se  "Un giorno" mi era molto piaciuto perché (al netto della lacrimosa storia d'amore) rappresenta in modo molto veritiero e accurato il passaggio dagli spensierati vent'anni alla vera età adulta, "Noi" mi ha creato non poca ansia. Di nuovo il punto focale della mia attenzione non è la storia d'amore (un divorzio dopo venticinque anni insieme deve essere tremendamente straziante, ma Connie e Douglas sono oggettivamente due persone antitetiche, e a tratti ne sono fin troppo consapevoli), ma il complicato rapporto tra Albie e Douglas. Sia da un punto di vista di figlia, sia di potenziale futura genitrice, il circolo vizioso di tensioni, accuse, incapacità di dialogo tra padre e figlio (con la madre che tenta, con non troppo successo, di mantenere un ruolo neutrale) sono stati estremamente ansiogeni durante la lettura. Passavo dall'immedesimarmi con l'uno e con l'altro personaggio, sentendo sempre e comunque il peso di questo muro di incomunicabilità tra i due, la frustrazione di tutti quei tentativi fallimentari di distendere le cose. La colpa, in questo caso come in quasi tutti i casi, non sta mai da un'unica parte ed è un buon esercizio sentire le ragioni di entrambe le generazioni.


Nicholls è un buono scrittore. Ha un acuto senso dell'umorismo e, forse per la sua esperienza come sceneggiatore televisivo e cinematografico, le sue storie non sono mai banali nel loro svolgimento e i personaggi e il loro mondo sono coinvolgenti e vivi. Questo fa di " Noi" un libro che si legge con piacere, anche se mai a cuor leggero.

sabato 24 gennaio 2015

"Il cardellino", Donna Tartt


And I feel I have something very serious and urgent to say to you, my non-existent reader, and I feel I should say it as urgently as if I were standing in the room with you. That life – whatever else it is – is short. That fate is cruel but maybe not random. That Nature (meaning Death) always wins but that doesn’t mean we have to bow and grovel to it. That maybe even if we’re not always so glad to be here, it’s our task to immerse ourselves anyway: wade straight through it, right through the cesspool, while keeping eyes and hearts open. And in the midst of our dying, as we rise from the organic and sink back ignominiously into the organic, it is a glory and a privilege to love what Death doesn’t touch

“Il cardellino” è un piccolo e prezioso dipinto fiammingo del 1654. Il suo autore, Carel Fabritius, morì tragicamente nell’esplosione dell’arsenale di Delft lo stesso anno e con lui scomparve anche gran parte della sua inestimabile opera. Questo piccolo dipinto è il cuore del terzo romanzo di Donna Tartt (per il quale è stata insignita del Premio Pulitzer nel 2014) e come il suo protagonista è un sopravvissuto. Theo Decker è un tredicenne di Manhattan che vive solo con la madre, dopo che il padre, un ex attore di scarso successo, alcolizzato e malato di gioco d’azzardo, li ha abbandonati. A causa di una sospensione ottenuta nella sua costosa scuola privata, Theo e sua madre decidono di passare una mattinata al Metropolitan Museum of Art dove è temporaneamente esposto il dipinto preferito della donna, “Il cardellino”, appunto. Durante la visita un attacco terroristico distrugge il museo e Theo si ritrova orfano. Nella confusione del momento il ragazzino ruba il piccolo dipinto fiammingo, che da allora diventa sua personale ossessione e talismano. La morte della madre divide la vita di Theo in due parti, un prima e un dopo la tragedia. Sconvolto, spaesato e divorato da un dolore che lo isola sempre di più dal mondo esterno, dapprima viene affidato a una ricca famiglia di conoscenti, I Barbour, poi al padre e alla sua compagna Xandra, che misteriosamente ricompaiono nella vita di Theo e lo trascinano a Las Vegas. Qui Theo conosce quello che diventerà il suo grande amico e la sua nemesi, Boris, un novello Jack Dawkins (o un Lucignolo noir) che porta colore a ogni pagina in cui compare, ed è forse il personaggio meglio riuscito dell’opera. I due cominciano a vivere una vita in cui gli adulti non sono quasi mai presenti (e le loro incursioni generalmente hanno conseguenze violente e dolorose), una vita fatta di droga e alcol, piccoli furti ed espedienti di vario tipo. Ma mentre Boris cerca il divertimento sfrenato, Theo, affetto da una sempre più devastante sindrome post-traumatica, tenta di distruggere se stesso e avvicinarsi pericolosamente alla morte. Al suo ritorno a New York viene preso in cura da un venditore di antiquariato, Hobie, il cui socio in affari è rimasto vittima dello stesso attentato che ha ucciso la madre di Theo. Con lui quel giorno c’era Pippa, una diafana teenager dai capelli rossi, rimasta gravemente ferita durante l’esplosione. Theo coltiva un segreto e ossessivo amore per la ragazza, che vede come l’unica persona che possa davvero comprendere il suo devastato mondo interiore, e allo stesso tempo si rifugia nella bottega di Hobie, in mezzo ai suoi mobili antichi, cercando sicurezza e riparo nelle pieghe del legno ben restaurato, negli oggetti vissuti, sotto l’ala protettrice di questo uomo che è anche egli un po’ fuori dal tempo, coi suo modi gentili e la sua delicatezza d’animo (in pieno contrasto con la sua stazza, che lo rende un po’ un gigante buono).
“Il cardellino” e` un romanzo dal respiro antico. Innanzitutto la sua trama è decisamente Dickensiana (“Grandi Speranze” e “Oliver Twist” si fondono insieme e si trasferiscono negli Stati Uniti) con un orfano che deve imparare a badare a se stesso insieme a una guida, Boris, non troppo raccomandabile. Il suo stile invece mi ha ricordato i grandi romanzi russi: una vasta gamma di personaggi secondari che arricchiscono la narrazione, un intreccio complesso, un protagonista che è quasi un antieroe in balia del destino avverso, grandi passaggi descrittivi. In questo Donna Tartt ci offre un vero e proprio capolavoro della letteratura. Ogni personaggio, stato d’animo, paesaggio è descritto con minuzia maniacale, fino a restituire al lettore un oggetto in tre dimensioni, qualcosa di tangibile. La notte stellata nel deserto, il cane che incontra dopo dieci anni una persona che ha amato, il dipinto di Carel Fabritius, escono dalle pagine del libro, sono una cosa non solo reale, ma vera. Probabilmente ciò in cui eccelle la Tartt è però la grande capacità di destreggiarsi con i sentimenti: riesce davvero, come una direttrice d’orchestra, a creare una sinfonia perfetta, che tocca ottave elevatissime del pathos. Ma “Il cardellino” non è una mera riflessione sul dolore: il libro si dipana attraverso una trama fitta e complicata, passando per una lunga serie di crimini (e qui da “Grandi Speranze” passiamo a “Delitto e Castigo”). Il ritmo però non è quasi mai serrato, almeno per i buoni primi tre quarti del romanzo. Per questo non mi sono particolarmente stupita quando è stato dichiarato uno dei libri più abbandonati dai lettori sul dispositivo Kobo nel 2014. Si tratta di una lettura complessa e a tratti decisamente pesante, che può demoralizzare alcuni lettori. Ma se riuscirete a seguire il sofferto cammino di Theo verso l’età adulta, allora anche voi forse troverete un pezzettino di voi stessi o per lo meno uno splendido spunto di riflessione sul destino è la fatalità.

venerdì 21 novembre 2014

"Open", Andre Agassi

Non avevo mai letto un'autobiografia prima d'ora e ho acquistato "Open" con grande curiosità, dopo aver visto comparire questo titolo in molte delle famigerate liste di "10 libri preferiti" in circolazione su Facebook qualche tempo fa. Sono arrivata un po' in ritardo, se devo essere sincera, visto che "Open" è uscito nel 2009. Di Agassi sapevo ben poco: "tennista pop star dalla lunga chioma bionda" probabilmente è la perfetta sintesi delle informazioni archiviate nella mia memoria prima di leggere questo libro. Invece ho scoperto che Andre Agassi è molto di più. Il suo racconto comincia all'alba del suo ritiro dal mondo del tennis, dopo una carriera lunga oltre 20 anni, 8 slam e una medaglia d'oro olimpica, e da subito facciamo conoscenza con un corpo devastato da anni di agonismo e di battaglie, combattute sotto il sole o la pioggia, in tutti i campi da tennis del mondo, davanti a milioni di occhi. Ma veniamo anche a conoscenza del grandissimo segreto di Agassi, un segreto decisamente difficile da immaginare: Andre odia, con tutte le sue forze e senza ombra di dubbio, il tennis. L'odio è nato quando, ancora bambino, veniva obbligato dal padre a trascorrere ore nel campo da tennis di fronte a casa, colpendo palle lanciate a folle velocità da un marchingegno artigianale che il piccolo Andre ha rinominato "Il drago". Nonostante il tennis non gli piaccia affatto, continua a giocare per non deludere suo padre. A nulla valgono le ribellioni e i colpi di testa (i capelli selvaggi, gli orecchini, le divise coloratissime), il suo destino è inesorabilmente segnato dalla volontà del padre e dal suo genuino talento. Dai tornei amatoriali fino a quelli professionisti, Andre ci accompagna attraverso una carriera straordinaria, segnata da infortuni, epiche vittorie, momenti bui, dalla rivalità con Sampras e Becker, al raggiungimento del sogno di suo padre: essere il numero uno del mondo. Agassi si apre completamente al suo lettore mostrando il proprio io, che fin dalle prime righe appare ben più complesso di quanto si potesse immaginare vedendo la sua immagine pubblica. A colpire sono le sue contraddizioni: la finta capigliatura bionda e gli abiti sgargianti, cozzano con la sua continua ricerca di cose genuine, come il rapporto con il fido Gyl e la sua famiglia; il matrimonio hollywoodiano con Brooke Shields sembra del tutto inconciliabile con il suo amore quasi commovente per la teutonica Steffi Graff. Eppure Andre Agassi è tutto questo e "Open" è un cammino verso l'accettazione delle proprie contraddizioni e una sofferta presa di coscienza che passa attraverso il dolore fisico e la depressione, per giungere all'equilibrio e alla felicità. Seppure circondato da migliaia di persone, il tennista è sempre e irrimediabilmente solo di fronte al proprio avversario, abbandonato a sé stesso di fronte alle difficoltà. Solo conoscendosi alla perfezione si può vincere la partita, calibrando le forze, imparando a capire chi sta oltre la rete, continuando a lottare punto su punto, anche quando tutto sembra perduto. E in questo sta la forza di "Open": è una storia di tennis ma che parla soprattutto di vita, e lo fa attraverso la voce di un uomo sincero e incredibilmente "umano" nella sua fragilità. Una bella lettura anche per coloro che non sono troppo interessati a questo sport.